Il suono dell'universo.

lunedì 29 ottobre 2012

Petrolio: in Italia leggi aggirate dalle compagnie petrolifere




http://www.ilcambiamento.it/territorio/rilancio_trivellazioni_petrolifere_italia.html




















Segnalo il testo di un'interrogazione al Senato in data 11.11.2011 avente in oggetto l'aggiramento della legge esistente in materia di permessi di perforazioni off shore da parte di compagnie petrolifere. Oggetto dell'interrogazione: scorporamento di permessi in maniera che non appaia evidente che l'area oggetto di interesse si estende per oltre 6000 Kmq (a fronte dei 750Kmq concessi dalla legge), Richiesta di perforazione su fondali su cui giacciono esplosivi all'iprite e navi contenenti materiale pericoloso, mancanza di chiarezza su quando e come si intenda agire. Affermazioni allarmanti anche sulla mission della compagnia petrolifera richiedente che dichiara di voler 'acquisire siti esplorativi e produttivi a basso costo d'ingresso, allo scopo di aumentarne il valore per i propri azionisti'. di Chiara Madaro
INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA











Atto Senato

Interrogazione a risposta scritta 4 - 06237 presentata da ADRIANA POLI BORTONE
venerdì 11 novembre 2011, seduta n.636

POLI BORTONE - Ai Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dello sviluppo economico - Premesso che:

la ditta Northern Petroleum, società di diritto inglese, quotata al mercato AIM di Londra sotto la sigla NOP, il 28 luglio scorso, ha annunciato di aver ottenuto le concessioni per ispezioni geosismiche per ricerca idrocarburi nel basso Adriatico secondo i progetti denominati "d39 FR-NP" e "d40 FR-NP";

il direttore resposabile della Northern Petroleum, Derek Musgrove, sostiene che l'esplorazione dell'Adriatico merdionale è una priorità per la Northern Petroleum e che la ditta intende procedere velocemente con l'air gun in modo da identificare i siti da trivellare già all'inizio del 2012;

sul suo sito ufficiale la Northern Petroleum afferma di avere come missione quella di acquisire siti esplorativi e produttivi a basso costo d'ingresso, allo scopo di aumentarne il valore per i propri azionisti;

il Tar di Bari, con la sentenza n. 2602/2010 ha annullato il decreto di VIA n. 1349, mentre tutti gli altri decreti sono stati cautelarmente sospesi dal Tar di Lecce con ordinanza n. 130/2010 e entrambe le pronunce hanno ravvisato (tra l'altro) l'illegittimità di un frazionamento della procedura di valutazione d'impatto ambientale (VIA) tra i vari permessi di ricerca pur a fronte dell'unicità del programma di ricerca. In particolare, il Tar di Bari ha rilevato che la Northern Petroleum ha illegittimamente scorporato il progetto in più lotti su aree di mare che anche parte resistente rappresentata e difesa dalla Avvocatura dello Stato ammette essere adiacenti, così impedendo la doverosa valutazione unitaria di impatto ambientale. Richiamando giurisprudenza nazionale e comunitaria in materia di VIA, il Tribunale ha evidenziato che l'obiettivo della normativa non può essere aggirato tramite un frazionamento dei progetti e che la mancata presa in considerazione del loro effetto cumulativo non deve avere il risultato pratico di sottrarli nel loro insieme all'obbligo di valutazione mentre, presi insieme, essi possono avere un notevole impatto ambientale ai sensi dell'art. 2, n. 1, della direttiva 85/337 (si veda, in tal senso, sentenza 21 settembre 1999, causa C-392/96, Commissione/Irlanda, Racc. pag. I-5901, punto 76). Peraltro, la sentenza stigmatizza e dichiara l'illegittimità dei provvedimenti di VIA lì dove prevedono il rilascio di più permessi di ricerca alla medesima società per ambiti marini adiacenti, a fronte del divieto, stabilito dall'art. 6, comma 2, della legge n. 9 del 1991, di concedere superfici estese oltre 750 chilometri quadrati. Frazionando l'unico programma in più tronconi e facendosi rilasciare più permessi di ricerca per una superficie di oltre 6.000 chilometri quadrati, il Ministero ha violato la suddetta norma. L'artificioso e non consentito frazionamento della procedura di VIA in più tronconi costituisce, come detto, non soltanto un vizio formale ma, soprattutto, un insormontabile ostacolo per l'unitaria valutazione del progetto di ricerca;

la circolare del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare 7 ottobre 1996, n. 15208, ha precisato che l'esigenza della valutazione complessiva della globalità degli interventi risponde alla logica intrinseca della valutazione di impatto ambientale, atteso che questa deve prendere in considerazione, oltre a elementi di incidenza propri di ogni singolo segmento dell'opera, anche le interazioni degli impatti indotte dall'opera complessiva sul sistema ambientale, che non potrebbero essere apprezzate nella loro completezza se non con riguardo anche agli interventi che, ancorché al momento non ne sia prospettata la realizzazione, siano posti in essere (o sia inevitabile che siano posti in essere) per garantire la piena funzionalità dell'opera stessa e che manca ad oggi uno studio unitario di impatto ambientale sull'intera area, in relazione all'unitario programma di ricerca;

è necessario sottolineare che le diverse istanze sono assolutamente identiche tra loro e confezionate con la tecnica del copia-incolla, testimoniata dalla presenza di refusi ed errori di "compilazione" che confondono le diverse istanze presentate;

è vero che gli studi di impatto ambientale (SIA) presentati dalla Northern Petroleum si riferiscono soltanto alla "prima fase", cioè quella delle prospezioni preliminari, ma è evidente che tale prima fase è propedeutica alla successiva attività di vera e propria ricerca petrolifera ed è altrettanto evidente che non ha alcun senso consentire l'esecuzione della "prima fase" se non si valuta, già in questa sede, l'ammissibilità della "seconda fase". Diversamente, la prima fase rappresenterebbe uno spreco di risorse e un inutile rischio ambientale;

la società richiedente ha escluso interazioni significative a seguito della molteplicità dei permessi di ricerca sulla base unicamente della circostanza che il programma verrà effettuato con l'utilizzo di un'unica nave-sorgente acustica, eliminando in tal modo ogni possibilità di sovrapposizione di effetti legati dalla generazione di più segnali acustici e contemporaneamente presenti in una medesima area. Sta di fatto, però, che gli effetti di sommatoria di più prospezioni in più ambiti di ricerca contigui non vanno valutati soltanto da un punto di vista cronologico (escludendo, cioè, qualunque effetto di sommatoria soltanto perché le singole campagne di ricerca si svolgono in periodi differenti), ma a seguito di una più ampia e complessa valutazione ambientale che tenga conto degli effetti unitari sul medesimo ambiente marino prodotte da una campagna di ricerca la cui durata viene stimata in circa 50 giorni;

la Northern Petroleum nei documenti sottoposti omette di indicare il periodo dell'anno nel quale la società stessa intende svolgere la campagna di ricerca. La tecnologia utilizzata, infatti, influenza con certezza il comportamento e l'attività vitale della flora e della fauna presenti nella zona di mare interessata e, in particolare, incide sui grandi cetacei, le cui rotte attraversano il canale d'Otranto. Non è affatto indifferente, in relazione a tale componente bio-marina, lo svolgimento in un periodo dell'anno piuttosto che in un altro della campagna;

le ricerche di idrocarburi, se consentite, saranno svolte mediante l'utilizzo di air gun, ovvero cannoni pneumatici che sparano onde acustiche sui fondali per valutare la risposta sismica;

come riferisce l'ingegner Giuseppe Deleonibus, ingegnere ambientale specializzato in tutela ambientale e controllo dell'inquinamento, gli air gun si basano su fenomeni di riflessione e rifrazione delle onde elastiche generate da una sorgente artificiale, la cui velocità di propagazione dipende dal tipo di roccia, ed è variabile tra 1.500 e 7.000 metri al secondo (tra 5.400 e 25.200 chilometri orari) e che tale metodica di ricerca è ufficialmente annoverata tra le forme riconosciute di inquinamento dalla proposta di direttiva n. 2006/16976 recante gli indirizzi della strategia comunitaria per la difesa del mare;

il suono viaggia nell'acqua circa quattro volte più in fretta che nell'aria (la velocità di propagazione del suono in aria è di 343 metri al secondo, in acqua di circa 1.483 metri al secondo), per cui le onde hanno la potenzialità di diffondersi su raggi molto elevati, anche di 100 chilometri e a ridosso dell'air gun si possono misurare picchi di pressione dell'ordine di 230 dB (a mero paragone, un'esplosione nucleare in mare ha un valore di 300-310 decibel);

i rumori di origine antropica possono avere effetti sulla vita degli organismi marini acquatici; le specie interessate non sono solo i mammiferi marini, soggetti comunque maggiormente sensibili, ma anche pesci, tartarughe marine e invertebrati marini. In letteratura vengono riportati alcuni dei potenziali effetti legati ad esposizioni prolungate nel tempo a suoni generati dalle emissioni acustiche: cambiamenti nel comportamento, elevato livello di stress, indebolimento del sistema immunitario, allontanamento dall'habitat, temporanea o permanente perdita dell'udito, morte o danneggiamento delle larve in pesci e invertebrati marini. Nel caso delle perturbazioni acustiche generate dagli air gun, alcuni studi riportano una diminuzione delle catture di pesci anche dopo alcuni giorni dal termine delle indagini. Gli studi del Norwegian institute of marine research hanno messo in evidenza una diminuzione delle catture di pescato fino al 50 per cento in un'area distante fino a 2.000 metri dalla sorgente durante l'utilizzo di air gun;

agli effetti degli air gun vanno sommati quelli dovuti alla presenza, sui fondali del basso Adriatico, di 20.000 bombe chimiche (come risulta da un'interrogazione parlamentare al Ministro dell'ambiente del 22 settembre 2004 del senatore Franco Danieli). Il Ministro pro tempore ha confermato, nella sua risposta del 24 novembre 2005, che l'ICRAM, l'Istituto centrale per la ricerca scientifica e tecnologica applicata al mare, ha rilevato la mappa dei siti di rilascio bombe nel Basso Adriatico dove si ritiene sino presenti almeno 20.000 bombe chimiche, delle quali circa 15.000 tutte all'iprite, si pensa siano parte del carico della nave statunitense "John Harvey", affondata nell'Adriatico nel 1943; il resto delle bombe sono il frutto della guerra nei Balcani, durante le quali furono individuate alcune aree marine per lo sganciamento dagli aerei di ordigni inesplosi. Secondo il senatore Danieli nei nostri fondali ci sono bombe all'iprite, al fosgene, disfogene, adamsite, acido cianidrico, bombe a grappolo del tipo blu27, proiettili all'uranio impoverito;

il basso Adriatico è stato utilizzato fino agli anni '70 per lo smaltimento di munizionamento militare obsoleto e vi sono stati affondati residuati bellici provenienti dalla bonifica dei porti pugliesi e da depositi e stabilimenti di produzione, assemblaggio e sconfezionamento di ordigni. Va anche sottolineato come tali ordigni siano dispersi in un'area piuttosto ampia, che si estende dai fondali delle aree portuali fino a tratti di mare a diversa distanza dalla riva, anche per la pratica degli operatori di riaffondare in ambito portuale i residui bellici accidentalmente salpati;

secondo i Lloyd's di Londra (Lloyd's register of shipping) nel Mediterraneo sono "affondate" 25 navi che necessitano di rigorosi approfondimenti di indagine. Molteplici sono le "stranezze" dei naufragi e appare fondato il sospetto di traffici di rifiuti pericolosi. Secondo varie Procure, le navi "naufragate" sarebbero 40;

lungo le coste della Puglia ci sono 4 relitti, alcuni di essi tutt'altro che "in fondo al mar". Si tratta della "Eden V" arenatasi a Lesina (Foggia) nel 1988, alla quale l'inchiesta di "RaiNews24" ha dedicato una puntata e dietro la quale si nascondono inquietanti traffici illeciti. Nel 2007 incominciarono i lavori di smantellamento, poi sospesi. La nave "Alessandro I", affondata nel 1991 al largo di Molfetta (Bari), che trasportava 3.550 tonnellate di sostanze tossiche (dicloroetano e acrilonitrile) prodotte dall'Enichem di Gela. Il cargo turco "Gulten Islamoglu" andò a fondo nelle acque di Monopoli (Bari), nel luglio del 1994. Pare che trasportasse ferro. La nave "Lira" affondò il 25 settembre 1997 a 500 metri dal porto di Gallipoli (Lecce), nel quale doveva attraccare, il suo carico era sconosciuto;

nei SIA dei progetti presentati dalla Northern Petroleum non si sono valutati gli effetti sinergici e cumulativi riferiti all'uso di air gun né è stata (o sarà) condotta un'indagine preventiva dell'area di prospezione che potrebbe essere interessata da affondamenti di navi contenenti rifiuti pericolosi e radioisotopi. Nota è infatti, come spiega l'ingegner Deleonibus, la possibilità di innesco di reazioni piezonucleari indotte da onde acustiche su liquidi contenenti radioisotopi, attraverso il fenomeno della sono-luminescenza;

la Northern Petroleum sottovaluta abbondantemente che la zona in cui intende cercare idrocarburi è nelle strette vicinanze di 10 siti di importanza comunitaria/zone protezione speciale, un'area marina protetta, una riserva naturale dello Stato, aree marine dove sono presenti nursery di nasello, triglia di fango e gambero bianco, una zona di tutela biologica (ZTB), 7 impianti di acquacoltura, fortemente voluti dalla popolazione. In particolare quasi tutti questi siti sono inseriti nella rete europea "Natura 2000" e sono considerati di grande valore in quanto habitat naturali di eccezionali esemplari di fauna e flora ospitati;

la descrizione dei tanti siti di interesse comunitario è stata oggetto di un copia-incolla tal quale da siti Internet non citati, senza una discussione appropriata e approfondita relativamente alle conseguenze che le attività della Northern Petroleum avranno sui siti in questione;

la Northern Petroleum non prende in considerazione che l'articolo 11 della legge quadro sulle aree protette 6 dicembre 1991, n. 394, vieta l'apertura e l'esercizio di cave, di miniere e di discariche, nonché l'asportazione di minerali nelle zone interessate, inclusi gli oli minerali e petroliferi per la loro dannosità;

nel dicembre 2009, un branco di sette capodogli (Physeter macrocephalus, Linnæus 1758) maschi ha trovato la morte lungo la costa adriatica della Puglia. Questa è la sesta moria dal 1555 in questo bacino, il più antico esempio conosciuto risale al 1584. I capodogli sono considerati vaganti o assenti nelle acque circostanti il luogo dello spiaggiamento. Su tre dei sette capodogli sono state eseguite autopsie complete, svolgendo campiomenti istopatologici, virologici, batteriologici, di parassitologia e lo screening delle vene in cerca di emboli di gas. Inoltre, campionamenti per la determinazione dell'età, studi genetici, la valutazione di contenuto gastrico, isotopi stabili e tossicologia sono stati presi da tutti e sette i capodogli. Tra le cause di morte non è stata esclusa la "gas and fat embolic syndrome", associata con l'esposizione diretta ad air gun;

a quanto risulta all'interrogante, dai documenti in esame appare evidente come si cerchi di spostare l'attenzione sulle tecniche di ispezione sismica. Il terzo punto dei progetti, che è invece quello più impattante per il litorale perché relativo all'installazione di pozzi esplorativi, e possibilmente permanenti, viene trattato in maniera del tutto e assolutamente secondaria, superficiale e senza alcun profilo di indagine e di studio valutativo ai fini della VIA. Sebbene se ne richieda l'autorizzazione infatti, di questi pozzi non se ne indica collocazione, non si illustrano le composizioni dei fanghi perforanti che verranno utilizzati, quanti ne verranno prodotti, non si indica esattamente come e dove questi ultimi verranno smaltiti. Non si parla delle conseguenze di possibili scoppi sul litorale, né di come la presenza di eventuali petroliere andranno a interferire con le attività turistiche e naturalistiche della zona. Non vengono menzionati effetti reali sulla pesca, sulla stabilità dei fondali marini e sull'inquinamento delle acque. Non sono incluse simulazioni sulla diffusione degli inquinanti né in aria né in acqua e sulla possibilità di cedimenti dei fondali marini;

uno studio sugli aspetti scientifici dell'inquinamento marino condotto dal gruppo Gesamp, un consorzio di esperti, creato e gestito in collaborazione con l'Unesco, la Fao, le Nazioni Unite e l'Organizzazione mondiale della sanità, stima che un tipico pozzo esplorativo scarichi fra le 30 e le 120 tonnellate di sostanze tossiche durante l'arco della sua breve vita, intenzionalmente o accidentalmente. La letteratura petrolifera mondiale quantifica le perdite in mare, in condizioni normali, in circa 90.000 metri cubi nell'arco della vita media di un pozzo petrolifero. Addirittura il Governo norvegese dal suo sito ufficiale afferma che "Oil and gas production generate large emissions of pollutants to air, water and the seabed";

secondo uno studio commissionato dall'Ente nazionale idrocarburi, i bacini del centro e del sud dell'Adriatico sono caratterizzati da problemi di subsidenza. Più nello specifico si afferma che i bacini del centro e del sud dell'Adriatico formatisi durante i periodi del Neogene e del Quaternario sono entrambi caratterizzati da forte subsidenza nelle loro parti centrali, che gradualmente diminuiscono verso i confini a sud-ovest ed a nord-est. I bacini del centro e del sud dell'Adriatico formano sinclini bi-crostali con la subsidenza concentrata nelle loro parti centrali;

vari studi hanno dimostrato che le perdite delle piattaforme petrolifere possono avere effetti dannosi sulla sopravivenza di alcune specie animali e che i sedimenti delle piattaforme possono subentrare nella catena alimentare anche per un raggio di 10 chilometri dal punto di emissione. Per di più la collocazione permanente di strutture metalliche, cementificate e tubature nel mare possono alterare gli habitat e equilibri marini. Studi scientifici indipendenti mostrano che i fondali attorno alle piattaforme mostrano alti livelli di mercurio e piombo. In Alaska è stato dimostrato come anche piccolissime concentrazioni di idrocarburi normalmente dispersi nel mare abbiano causato la mutagenesi delle uova di salmone. Il nocciolo della questione è che sebbene gli scarti siano considerati trascurabili secondo i parametri dell'industria petrolifera, non lo sono per le specie marine piccole o allo stato embrionico, che sono alla base del ciclo alimentare marino e che fungono da preda per pesci più grandi e per l'uomo;

uno degli studi più completi sulla relazione tra piattaforme petrolifere e tossicità dei pesci fu condotto dal Governo statunitense al largo delle coste dell'Alabama, nel rapporto Goomex; si concluse che a causa dei rilasci di materiale di scarto dalle piattaforme petrolifere le concentrazioni di mercurio nei pesci erano di circa 25 volte superiori alla norma. Il campione fu di 700 specie marine e tutte mostrarono livelli preoccupanti di contaminazione. Queste analisi portarono al divieto di consumo di alcune specie ittiche. Successivamente furono riscontrate nella popolazione locale livelli tossici di mercurio nel sangue. A tutt'oggi è vietato il consumo di pesce spada, sgombri e carne di squalo;

la Regione Puglia ha ormai focalizzato nel settore di sostegno al turismo un canale per esercitare quella pressione che sembra stia dando soddisfazione soprattutto alle iniziative imprenditoriali giovanili e femminili, che in questa risorsa hanno ravvisato la leva per innalzare la qualità dei prodotti autoctoni, e di conseguenza ricavarsi quella nicchia per ovviare alla crisi economica destabilizzante che sta attanagliando la regione e l'intero Paese;

l'economia turistica pugliese è tra le poche in Italia a poter contare sulla forte connotazione e sulla ricchezza dell'identità del territorio come fattori propulsivi di crescita nel lungo periodo;

nell'agosto 2010 la Puglia è stata in testa alle mete preferite dagli italiani con oltre 1.700.000 visitatori, con punte di 300.000 ad Otranto e 200.000 a Gallipoli, secondo i dati dell'Azienda di promozione turistica di Lecce e dell'Osservatorio nazionale sul turismo;

ai progetti manca una visione globale di quello che la costa pugliese intende essere per i suoi abitanti, per il suo turismo, per le aspirazioni del suo popolo e dietro le quali ci sono anni di investimenti dei cittadini, leggi regionali per la difesa dell'ambiente e istituzioni di riserve, parchi e aree protette, in terra e in mare;

la stragrande maggioranza dei cittadini pugliesi, inclusi i rappresentanti del mondo politico, è fortemente contraria alla presenza di infrastrutture petrolifere nei propri litorali, come testimoniano le ripetute manifestazioni e prese di posizione di cittadini, pescatori, commercianti, operatori turistici, sindaci, viticoltori e rappresentanti del mondo accademico ed ecclesiale;

a livello fisiologico lo stress ambientale influisce sull'attivazione del sistema nervoso autonomo (aumento della pressione sanguigna, della conduttanza cutanea, della frequenza respiratoria, della tensione muscolare, variazione del battito cardiaco) e agisce sull'attività ormonale (aumento delle catecolamine e dei corticosteroidi nel sangue); lo stress inoltre influenza negativamente la prestazione dei soggetti in compiti cognitivi che coinvolgono l'attenzione, la memoria a breve termine, la memoria incidentale; le conseguenze dello stress si estendono, poi, anche alle relazioni interpersonali e agli affetti. In particolare è stato dimostrato che in condizioni di stress recede il livello di altruismo e di cooperazione tra gli individui e si registra un incremento delle condotte aggressive. Un aspetto fondamentale risulta essere la scelta dell'habitat che costituisce indubbiamente per tutti gli organismi il primo e cruciale passo per la sopravvivenza. Come afferma lo studioso Edward O. Wilson, le ricerche condotte negli ultimi 30 anni nel settore relativamente nuovo della psicologia ambientale indicano costantemente la seguente conclusione: le persone preferiscono stare in ambienti naturali, in particolare nella savana o in un habitat simile ad un parco. Amano poter spaziare con lo sguardo su una superficie erbosa relativamente piana punteggiata di alberi e cespugli. Vogliono stare vicino a una massa d'acqua (un oceano, un lago, un fiume o un ruscello). Cercano di costruire le proprie abitazioni su un rilievo, da cui poter osservare in sicurezza la savana o l'ambiente acqueo. Prediligono caratteristiche topografiche e aperture che consentono una visione più ampia,

si chiede di sapere:

se sia vero quanto riferito in premessa;

se non si ritenga di dover vietare questi lavori di sondaggio geosismico e successiva installazione di pozzi petroliferi;

se, alla base dei pochi dati presentati dalla Northern Petroleum e grazie all'ampia e documentata esperienza mondiale, sia possibile avallare con serenità che l'impatto dei pozzi abbia conseguenze nulle e che nessuna sostanza di scarto dell'opera di trivellamento finisca nelle acque pugliesi;

se sia possibile procedere all'annullamento dei permessi di ricerca limitatamente alla parte in cui sono interessate anche zone di mare il cui utilizzo dovrebbe essere inibito nel modo richiamato in premessa.

(4-06237)

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